(di Lorenzo Trombetta) Il regime siriano è (ancora) coeso mentre le opposizioni all’estero e in patria continuano a essere divise. È una delle poche verità pronunciate ieri dal presidente Bashar al Assad nel suo discorso alla nazione, il quarto dall’inizio delle proteste e della repressione dieci mesi fa e il primo dopo più di sette mesi dal suo ultimo intervento pubblico.
In un’ora e mezzo, il raìs siriano ha ripetuto a memoria i suoi slogan preferiti: «complotto straniero», «tradimento da parte della Lega araba»; «terroristi e sionisti che impediscono le riforme»; «le riforme saranno completate perché la Siria è il cuore dell’arabismo»; «rimango presidente fino a quando il popolo mi vuole».
L’attualità siriana di questi giorni, oltre ai numeri della repressione sanguinaria nei vari epicentri della rivolta e le discussioni sulla reale efficacia della missione di osservazione della Lega Araba, è però dominata dall’aspro confronto tra le due principali anime dell’opposizione politica, all’estero e in patria.
Da una parte il Consiglio nazionale siriano (Cns) presieduto da Burhan Ghalioun (foto a destra), docente di sociologia alla Sorbona e da più di trent’anni a Parigi, e dall’altra il Comitato di coordinamento nazionale (Ccn), diretto dall’avvocato e dissidente Hassan Abdel Azim che vive a Damasco.
Sul tavolo della discordia sono scoperte quattro carte: quella del dialogo con l’attuale regime (contrario il Cns, possibilista il Ccn), quella dell’intervento militare occidentale in Siria (favorevole numerose anime del Cns, contrario il Ccn), quella del ruolo dell’esercito libero siriano (Esl), piattaforma che raggruppa i militari disertori (favorevole il Cns, contrario il Ccn); il ruolo di Turchia e dei paesi del Golfo (vicini al Cns) e dell’Iran (in contatto con il Ccn).
La necessità di unirsi è stata di fatto imposta al Cns e al Ccn dalla Lega araba e dall’Unione europea, che nei mesi scorsi hanno più volte messo come condizione all’apertura di canali di dialogo il fatto di avere come interlocutori delle sigle per lo meno coordinate fra loro.
Il 30 dicembre scorso al Cairo, Ghalioun (Cns) e Haytham Mannaa (Ccn, foto a sinistra) avevano firmato un accordo di principi comuni (qui in PDF la versione fornita da Manaa al giornale libanese al Akhbar) da sottoporre alla Lega araba in vista della Conferenza generale siriana, inizialmente prevista per la seconda metà di gennaio nella capitale egiziana e poi rimandata sine die.
Le due sigle rappresentano in teoria rispettivamente gli oppositori all’estero e quelli in patria: di fatto, il Cns ha al suo interno una forte componente di attivisti operativi in Siria, mentre il Ccn ha rappresentanti anche all’estero. Uno di questi è proprio Mannaa, anche lui come Ghalioun, da decenni a Parigi.
L’accordo del Cairo ha avuto vita breve. Già all’indomani è stato sconfessato da numerosi membri del Cns. Lo stesso colonnello Riad Assaad, sedicente capo dell’Esl, lo ha definito «l’accordo del tradimento » perché di fatto esautora il ruolo dei disertori, sostenuti da Ankara.
Nel testo si afferma sì il rifiuto di ogni intervento militare straniero, ma si definisce l’azione della Lega araba non un’interferenza straniera. Tra le altre cose, si stabilisce che il periodo di transizione (dalla caduta degli al Assad fino all’approvazione della nuova Costituzione e alla convocazione di elezioni legislative e presidenziali) debba durare un anno, rinnovabile solo una volta.
Al di là dei buoni propositi, dal Ccn – composto per lo più da dissidenti ultracinquantenni e membri delle ale clandestine dei partiti comunista e socialista siriani e delle formazioni curde che non accettano alcun dialogo con la Turchia – vedono come fumo negli occhi un intervento della Nato in Siria: «La Nato – afferma Mannaa – non è Babbo Natale!» (per approfondire il pensiero di Mannaa a riguardo si leggano le sue due recenti interviste: al Akhbar in inglese; al Hayat in arabo). In un suo documento ufficiale, il Cns non esclude invece l’intervento Nato.
Mannaa sostiene che al posto delle forze occidentali o turche, in Siria potrebbero essere dispiegati “caschi verdi” della Lega araba, provenienti da contingenti marocchino, tunisino ed egiziano, «paesi che non hanno interessi diretti in Siria».
Dal Cns – composto da un manipolo di liberali, curdi e “laici” ma soprattutto da un nutrito gruppo di Fratelli musulmani e di altre sigle della galassia islamica – accusano il Ccn di aver preso contatti con l’Iran. Accusa confermata da Mannaa («dialoghiamo con tutti») che però risponde: «Loro sono in balia dei turchi e dei paesi del Golfo».
Su tutto emerge la carta non scoperta sul tavolo della discordia: quella relativa alla spartizione del potere nel post-Assad. Gli anziani dissidenti del Ccn sanno di essere in minoranza di fronte ai numeri della Fratellanza musulmana e, in generale, del Cns, sostenuto da Parigi e Washington. Vogliono la fine del regime, ma non vogliono scomparire nella Siria di domani. (Per Europa Quotidiano del 11 gennaio 2012).