Tra le armi della repressione del regime e il silenzio della maggioranza degli abitanti di Damasco e Aleppo, “noi scegliamo la disobbedienza civile, la protesta non violenta”.
Parla Zaza, cognome di uno dei leader del Movimento non-violento siriano, formato nella metà degli anni ’90, e che dall’inizio della rivolta, lo scorso marzo, è in prima linea nel proporre “la terza via”, alternativa sia alle armi che all’immobilismo di molti siriani, “prigionieri della paura del futuro e di perdere lo statu quo attuale”.
Intervistato via Skype da un luogo che preferisce non rivelare, Zaza, 28 anni, da 11 membro del movimento non violento, illustra i dettagli dell’iniziativa “Rivoluzione senza fucili”, lanciata settimane fa a Damasco e ad Aleppo, le due principali città della Siria, toccate ancora marginalmente dall’ondata di proteste.
Il nucleo del movimento è composto da circa 300 persone, tra i 18 e i 35 anni di età. “Si tratta per lo più di studenti universitari”. A questi si aggiungono migliaia di sostenitori. “Ogni sabato pubblichiamo sulla nostra pagina Facebook il calendario della libertà, indicando le iniziative che stiamo preparando, tra cui alcune sorprese”.
Sono delle azioni-blitz compiute a Damasco o ad Aleppo, i cui dettagli per motivi di sicurezza sono conosciuti solo da pochissimi leader del gruppo e che vengono comunicati all’ultimo momento ad altri sostenitori. Tra le “sorprese” più eclatanti, documentate con video amatoriali pubblicati su Youtube, quella di colorare di rosso, “il sangue dei martiri”, le principali fontane delle piazze di Damasco.
Oppure quella di spegnere tutte le luci delle abitazioni dello stesso quartiere a un orario stabilito della sera. A settembre, per qualche minuto, quasi l’intero monte Qasiyun, su cui si estendono alcuni quartieri della città, è stato oscurato. Dieci giorni fa i disobbedienti sono riusciti ad appendere sei manichini del presidente Assad ad altrettanti cavalcavia e ponti della città, tutti ben visibili.
Circa un mese fa invece, nel mercato coperto di Damasco, un attivista del movimento ha parcheggiato la sua bici in un angolo e, una volta dileguatosi, un registratore collegato a un altoparlante posto sul portapacchi ha cominciato a riprodurre una delle “canzoni della rivoluzione”, del cantante Ibrahim Qashush, nei mesi scorsi sgozzato dalle milizie lealiste.
“L’umorismo mette in ridicolo il regime e dimostra che non ha affatto avvilito i nostri animi”, afferma Zaza, sunnita, originario di Tortosa. Il movimento non violento è composto dalla grande maggioranza da sunniti. “E’ normale – afferma l’attivista, conscio dei timori di molti osservatori occidentali per un post-Assad dominato da fondamentalisti – perché la maggioranza dei siriani sono sunniti e quindi anche i vari gruppi riflettono questa proporzione.
Ma ci sono anche cristiani, alawiti, curdi e circassi. Essere sunniti non significa essere fondamentalisti”. Il movimento nasce nel 1993 a Daraya, depresso sobborgo di Damasco, sotto la spinta di Yahya Sharbaji, attualmente detenuto dai servizi di sicurezza in un luogo sconosciuto. Molti attivisti del gruppo, tra cui Sharbaji, furono arrestati per la prima volta tra il 2002 e il 2003 dopo che le loro attività entrarono nel mirino del regime.
Ispirati dal pensiero e dagli scritti di Jawdat Sayyid, intellettuale siriano nato nel 1931, teorico della non violenza islamica, ma anche alle esperienze di Ghandi, Martin Luther King e del Partito del popolo filippino, Sharbaji e compagni promossero campagne di sensibilizzazione civica a Daraya. Come la creazione di una biblioteca pubblica aperta alla condivisione dei libri e a dibattiti.
“Tutto ciò che non può esser controllato dal regime viene disciolto”, afferma Zaza. “Ogni attività che prevede il raduno di persone viene vista come sospetta”. All’inizio delle proteste del marzo scorso, i ragazzi di Daraya offrivano acqua e fiori ai soldati che accorrevano per disperdere i cortei. Il movimento, che ha per simbolo due avambracci incrociati, parla sia al regime che alla maggioranza dei damasceni e aleppini.
“Al primo diciamo che anche se non ci vedete, noi siamo presenti e vogliamo il cambiamento. Ai secondi: siamo ben organizzati e non temete, perché potete partecipare alla rivoluzione anche senza manifestare in piazza. Dopo le prove per lo sciopero generale, tenteremo azioni di disobbedienza civile”. (Scritto per Ansa il 5 novembre 2011).
Lascia una risposta