Siria, verso una Bengasi del Levante?

Soldati siriani disertori posano assieme a manifestantiCon sempre maggior difficoltà le forze siriane fedeli al presidente Bashar al Assad mantengono il controllo di Jabal Zawya, provincia montagnosa nel nord-ovest del paese, nella regione di Idlib a ridosso della frontiera turca.

Proprio i territori di Idlib, circondati su tre lati dal confine con la Turchia di un Tayyip Erdogan a parole sempre più ostile a Damasco, potrebbero diventare nei prossimi mesi il fulcro delle operazioni militari contro il regime degli Assad.

Alcuni ufficiali dell’Esercito siriano libero (Esl), basati nei campi profughi dell’Hatay turco a pochi chilometri dalla regione di Idlib, in conversazioni confidenziali non nascondono l’auspicio di vedere la zona di Jabal Zawiya presto trasformata in una Bengasi siriana.

In una recente intervista alla stampa panaraba, il colonnello Riad al Asaad, sedicente capo dell’Esl, ha ammesso che sono in corso sforzi per coordinare le azioni con gli ufficiali turchi, anche se per ora si opera senza alcun sostegno straniero sul terreno.

Da Ankara continuano a smentire ma da settimane vengono riproposte dai media turchi notizie di un ipotesi, vagliata dallo stesso Erdogan, di creare a breve una zona cuscinetto nel nord della Siria. Da Idlib, da Daraa al sud, da Homs al centro e da alcuni sobborghi di Damasco non proviene finora solo il più alto numero di vittime tra i civili ma anche, da settimane, il più alto bilancio di morti tra i soldati governativi.

Secondo i bollettini giornalieri dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) – piattaforma di attivisti al lavoro da parecchi anni e ben prima dello scoppio delle proteste a marzo scorso – nella regione di Idlib dal 15 ottobre si sono intensificati attacchi e agguati da parte di disertori contro pattuglie di soldati lealisti.

Ultimo episodio in ordine di tempo, lo scorso 18 ottobre tre soldati sono stati uccisi a Ijsim, nel nord-ovest, da un ordigno esploso al passaggio del loro mezzo.

Una notizia analoga era stata diffusa il 16 ottobre e riguardava militari governativi uccisi vicino Maarrat Numan, sempre nell’area di Idlib. «Gli attriti nelle file dell’esercito stanno aumentando e cominciano a costituire un problema per Assad», ha detto un diplomatico europeo a Damasco, coperto dall’anonimato e citato dall’agenzia Reuters. «L’area delle proteste è ampia – ha aggiunto la fonte – e il regime è costretto a impiegare reparti costituiti da soldati sunniti per sostenere le forze d’elite (alawite)».

Ad esempio, prosegue il diplomatico, «i lealisti stanno impiegando sempre più tempo a riprendere il controllo delle zone ribelli». Tra queste si citano «vasti territori di Idlib, virtualmente fuori dal controllo di Damasco». «Per riprendere la cittadina di Rastan (nella regione centrale di Homs) il regime ha impiegato dieci giorni”, ha aggiunto la fonte.

Appena un centinaio di chilometri separano Rastan, all’inizio di ottobre roccaforte dei disertori, dal confine nord-occidentale con la Turchia. Dopo esser stati cacciati anche dalla vicina Talbisse (tra Hama e Homs), i militari anti-regime si sarebbero rifugiati in alcuni quartieri di Homs, da dove proviene circa un terzo delle vittime totali della repressione in corso (un migliaio su 3.400 circa) e nelle campagne a sud-ovest, alla frontiera col Libano.

Negli ultimi due giorni, secondo i Comitati di coordinamento locali degli attivisti, una cinquantina di militari sono fuggiti verso Qseir, località di confine nota per il contrabbando di combustibile e cemento da e verso la valle orientale libanese della Beqaa.

Alcuni dei soldati sarebbero stati uccisi, altri avrebbero trovato riparo oltre confine, spingendo i carri armati di Damasco ad alcune incursioni oltre frontiera, abbondantemente denunciate dalla stampa di Beirut.

Un altro importante epicentro della ribellione dei coscritti sunniti è la cintura dei sobborghi di Damasco: Duma, Harasta, Saqba, Muaddamiye, Arbin e altre località note per l’emarginazione dei loro abitanti rispetto al relativo benessere di cui gode chi vive nei quartieri bene della capitale.

Murad Oso, pseudonimo di un ben informato e fidato attivista curdo di Damasco, si è recato di recente a Duma e al suo ritorno ha raccontato a Europa quanto visto con i suoi occhi: «Ci sono un centinaio di militari disertori asserragliati nel centro cittadino. Loro proteggono gli abitanti e viceversa. L’esercito governativo e le milizie lealiste hanno innalzato dei posti di blocco attorno al centro urbano, che è di fatto sotto assedio da almeno due mesi.

Finora tutti i tentativi di stanare i disertori sono però falliti. Ogni giorno – prosegue l’attivista – i giovani manifestanti si avvicinano a poche centinaia di metri dai check-point e vengono allontanati con spari in aria e poi spari ad altezza uomo. È una guerra di posizione. E Duma è ormai dei ribelli». Proprio come potrebbe diventare il Jabal Zawiya a ridosso della Turchia. (Pubblicato su Europa Quotidiano del 20 ottobre 2011).