Suad Nofal, La donna che ha detto NO all’Isis

(di Sherry al Hayek, The Syrian Observer. Traduzione dall’inglese di Prisca Destro). Suad Nofal è una donna che da sola, per mesi, ha protestato contro l’Isis (lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) nel nord della Siria.

Ha iniziato a protestare da sola quando l’Isis ha rapito suo cognato e altri suoi amici, e ha continuato a farlo finché l’Isis non le ha sparato contro e ha dichiarato che il suo sangue poteva essere sparso (il che significa che chiunque la trovi può ucciderla senza doverne rendere conto). Oggi Suad si nasconde da qualche parte a Raqqa (nella Siria centro-settentrionale), perché non vuole lasciare la Siria.

Antefatto – Per molti anni Suad Nofal è stata una siriana tra le tante. Suo padre era il classico padre mediorientale preoccupato per le figlie che stavano crescendo, tanto da non volere in casa la tv via satellite per molti anni. Suad e le sorelle, pertanto, potevano ricevere informazioni sul mondo solo dalla tv di stato siriana e dalle sue fonti di informazione: “Solo 6 anni fa ho iniziato a saperne di più di quel che succedeva nel mondo. È stato allora che ho iniziato a oppormi al regime” – dice Suad. “Quando sono venuta a conoscenza delle menzogne e dell’ingiustizia che ci circondavano, quando ho saputo del massacro di Hama negli anni Ottanta, mi ha preso una rabbia enorme per aver vissuto in Siria tanti anni senza conoscere questi fatti” – spiega.

Suad Nofal è nata e cresciuta a Raqqa, ma la sua famiglia è originaria dei dintorni di Idlib (Siria nord-occidentale). Nel 1994 si è diplomata alle magistrali, nel 2006 si è laureata e ha iniziato a insegnare nelle scuole elementari a Raqqa, con alunni dai 7 ai 12 anni. Ha continuato a insegnare fino a quando è stata punita dal regime per avere protestato contro Assad: è stata espulsa dalla scuola in cui lavorava e il suo stipendio è stato decurtato.

La rivoluzione – Suad Nofal è una delle persone che hanno protestato fin dal primo giorno a Raqqa. Il primo martire di Raqqa era in prima linea in una manifestazione alla quale partecipava anche lei: “Le pallottole mi sono passate accanto ma non mi hanno ferito” – racconta. Da allora Suad ha partecipato a tutte le manifestazioni che si sono tenute contro il regime di Assad. Non ha mai detto niente alla sua famiglia, per paura che le impedissero di fare quello in cui credeva.

Aiuti - Quando a Raqqa sono arrivate famiglie di profughi da altre città distrutte, come Deir az Zor o Homs, Suad Nofal e i suoi amici hanno iniziato a realizzare oggetti fatti a mano da vendere per poter soddisfare i bisogni essenziali dei rifugiati. “Mia sorella Remal dipingeva con lo smalto per unghie la bandiera della rivoluzione siriana sulle tazze, per poi venderle e raccogliere i soldi per sfamare le famiglie bisognose” – ha raccontato Suad.

Raqqa liberata – Dopo la liberazione di Raqqa, Suad Nofal e i suoi compagni attivisti hanno formato il “Consiglio locale di Raqqa” per governare la città in assenza di un’amministrazione. Da un lato, il Consiglio locale di Raqqa è stato osteggiato dagli islamisti; dall’altro, ha avuto problemi con altri attivisti della città. Suad e i suoi compagni hanno pensato che non aveva senso continuare a combattere per il consiglio mentre c’era un altro gruppo di attivisti che se ne occupava, perciò hanno sciolto il loro consiglio e si sono concentrati su come migliorare la città dopo la caduta del regime, racconta.

Tuttavia, poco dopo la liberazione hanno dovuto interrompere tutte le attività e ricominciare a protestare, questa volta contro gli estremisti dell’Isis, che avevano iniziato a rapire e torturare gli attivisti proprio come faceva il regime. La sorella di Suad, Remal, è stata rapita e torturata da una donna che lavorava con la “Commissione legittima” (un organismo religioso che si arroga il diritto di gestire la cosa pubblica in alcune zone liberate della Siria N.d.T.) e in seguito rilasciata.

Nel frattempo Suad Nofal e i suoi compagni hanno cercato di attivarsi per migliorare la vita dei cittadini in città. Hanno fondato la “Gioventù libera di Raqqa”, che si occupava di attivismo civile, aiuti e pulizia delle zone bombardate.

La fondazione “Janna” – Poi Nofal e altre donne di Raqqa hanno fondato la fondazione “Janna”, riservata alle donne e sovvenzionata da una Ong norvegese che aveva acquistato le attrezzature necessarie alle attività della fondazione stessa. La fondazione “Janna” aiutava le donne di Raqqa che si trovavano in difficoltà, insegnando loro a cucire e a rifornirsi. La fondazione avrebbe poi comprato i prodotti del lavoro delle donne e li avrebbe rivenduti in città.

Questo, tuttavia, non piaceva agli estremisti dell’Isis, che nel frattempo avevano preso il potere in città.

La protesta quotidiana – Subito dopo il rapimento del “Consiglio di Tell Abyad” da parte dell’Isis, Suad e i suoi compagni hanno protestato davanti al quartier generale dell’Isis a Raqqa. Qualche giorno dopo, l’Isis ha rapito Firas al Haj Saleh, il cognato di Suad, anche lui presente alla protesta. Suad Nofal e altri amici hanno protestato chiedendone la liberazione, ma l’Isis ha risposto aprendo il fuoco sui manifestanti. Due giorni dopo, hanno rapito Ibrahim al Ghazi, che aveva organizzato una campagna affinché la bandiera della rivoluzione siriana fosse l’unico simbolo rivoluzionario a Raqqa.

Tutti questi eventi hanno portato a una discussione tra i compagnidi Suad (la “Gioventù di Raqqa”), che hanno firmato una dichiarazione per sospendere “momentaneamente” le proteste contro l’Isis. Ma il 19 luglio 2013 Suad si è rifiutata di firmare la dichiarazione.

Il 20 luglio 2013 è andata a protestare da sola, e lo stesso ha fatto il 21 luglio, il 22, il 23… Protestava davanti al quartier generale dell’Isis di Raqqa da sola, con un cartello che faceva riferimento a una questione diversa ogni giorno. Per due mesi Suad Nofal ha continuato a protestare da sola e davanti a tutti: “Volevo strappargli la maschera,” ha raccontato, “per mostrare al mondo chi erano in realtà e quanto siano lontani dall’Islam, e dimostrare che non avevamo paura di loro”.

Il 25 settembre si è recata al quartier generale dell’ISIS con un cartello sull’incendio di due chiese a Raqqa. Quel giorno due uomini dell’Isis, di origine tunisina, l’hanno aggredita, le hanno preso il cartello e l’hanno strappato. Il giorno dopo Suad è ritornata a protestare, è stata così caparbia da scrivere un altro cartello e brandirlo davanti al quartier generale dell’ISIS. Questa volta le hanno sparato dicendole che non era musulmana, ma un’apostata (accusa che dà a chiunque il diritto di ucciderla).

Da allora Suad Nofal si nasconde da qualche parte a Raqqa. Rifiuta ancora di lasciare la Siria e dice che non vuole fuggire finché riesce a sopravvivere in questo modo.