Un chador, tante voci di chi è contro il regime

30 ottobre, ago e filo, il lavoro è terminato. La stoffa informe ha preso le sembianze di uno chador iraniano, che, come me, è testimone delle storie raccontate dai ragazzi della famiglia del sarto.

Tarda mattinata, ancora una volta, faccio visita ai nipoti del sarto. M. mi viene incontro sorridente e il copione si ripete: davanti al caffé al cardamomo servito su piccoli bicchieri trasparenti, avvolti in una nube di fumo da sigaretta, iniziano i racconti, o le semplici impressioni di chi, in Siria, ci vive.

Solo che oggi anche il sarto è presente. Si allontana solo per portare il lavoro concluso: vogliono mi avvolga nel velo, me lo sistemano sul capo. Ancora non comprendono bene, però, le motivazioni che mi hanno spinta ad avere tale oggetto.

Chiedo al sarto notizie del suo figlio in carcere. “Per lo meno abbiamo appreso che è vivo. Ma ancora non sappiamo in quale delle tante prigioni sia detenuto. Come mio fratello, non sappiamo dove sia.”

Perché in Siria si scompare, senza nessun diritto a ricevere visite dai parenti o al colloquio con un difensore. Durante un colloquio informale con un avvocato, apprendo come non sia qui previsto un tempo di detenzione massimo in attesa di giudizio.

Ecco  che la permanenza in carcere si può dilatare a dismisura. Il sarto e un altro suo fratello iniziano a perdersi nella storia del paese..partono dall’elogio di un antico primo ministro cristiano per arrivare alla pace di una Siria pre-baathista, dove il confessionalismo (ta’ifiyye) non esisteva. Mentre ora si inizia a toccare con mano.

Il loro intento pare quello di rendermi conscia e consapevole di quanto duro, repressivo e brutale possa essere stato e sia il regime.

Hama, 1982. Fu un massacro: Hafez al-Asad, defunto padre dell’attuale presidente Bashar, diede ordine di annientare la Fratellanza Musulmana (al-Ikhwan al-Muslimin), il movimento sunnita che chiedeva diritti, libertà, voce.

La città di Hama, situata nella parte centrale del Paese, venne completamente rasa al suolo. Annientata.

“Si, conosco i fatti di Hama – dico – Ancora non si conosce il numero esatto delle vittime. Stando a quanto ho letto io le stime variano da 10,000 a 30,000 vittime..”.

Si guardano, il sarto e suo fratello. “Almeno 90,000 furono i morti. E poi venne sparso il cemento per cancellare ogni segno, odore, presenza di morte. Capisci che un regime che è stato capace di ciò, in passato, oggi non avrebbe nessuno scrupolo ad uccidere i suoi stessi cittadini”.

A parlare con loro tutte le cifre sono in rialzo: 20,000 vittime della repressione governativa, sino ad ora, ipotizzano.

Mi spiegano che “le cifre che riportano le tv internazionali e i rapporti delle organizzazioni che si occupano di diritti umani fanno riferimento ai cadaveri che hanno la fortuna di essere ritrovati, riconosciuti e registrati. Chi muore nelle carceri, per le violenze e le torture subite, credi che venga registrato, riconsegnato ai familiari, o magari seppellito? – fa il gesto di scaraventare via qualcosa – Viene fatto sparire”.

Le tracce della morte vengono cancellate. Ecco i diritti umani (huquq al-insan) in Siria”. Vanno via poco dopo, e rimango sola con M.

Gli chiedo come stia, se sia stato a manifestare di recente. “Venerdì (il venerdì della no-fly-zone, 28 ottobre, jum3a al-hazhr al-jawwy, in arabo) sono stato a Midan (quartiere di Damasco, poco lontano dalla città vecchia). Poca roba”.

“E a Saqba (sobborgo sito nella periferia orientale) , invece, com’è andata?”.

“Bene. Tanta gente alle proteste. E io ho portato delle coperte, mantelli, cibo per i disertori che combattono nell’Esercito Siriano Libero (Esl, al-jaysh as-suryy al-horr, formazione antagonista che si oppone all’esercito regolare. I giornali riportano una stima di circa 10.ooo membri). I soldati sono aHarasta, Duma, Saqba (tutti quartieri della cintola periferica orientale, al-ghuta ash-sharqiyya) e verso il sud, a Kiswa, sulla strada per Daraa”.

“Ah..l’Esl è presente nei sobborghi di Damasco! Ma i soldati vengono ospitati in delle case?”.

La, fil ghaba (no, stanno nelle campagne), dormono fuori, non in casa. Li aiutiamo come possiamo, con viveri e vettovaglie. L’esercito protegge i manifestanti”.

A pochi km dalla capitale si combattono due eserciti, e chiedo a M. perché lui vada a manifestare, cosa chieda.

“Io vado per Iddio (min sha’n Allah), e per mio cugino, ora che so che è vivo. Cosa chiedo? Isqat an-nizam, che cada il regime”.

“Per la prima volta io sento la mia voce, è una sensazione bellissima. Mi sento urlare, chiedere libertà. Come la prima volta, alla moschea Omayyade: eravamo pochi, un centinaio, ci hanno pestati, ma ho sentito la mia voce”.

“Questo è tutto. Mi attendo in ogni momento che vengano a prendermi, sono già sfuggito. Ma appena potrò tornerò a Saqba.”

Mi congedo, non posso trattenermi oltre, e lo lascio ai clienti. Sebbene il lavoro richiesto dello chador sia terminato, vedrò di nuovo, presto, la famiglia.

A pochi giorni dall‘Id al-Adha o Id al-Qurban o ancora Id al-Kabir (la Festa del Sacrificio, la Grande Festa, che conclude le giornate di pellegrinaggio dei fedeli musulmani ai luoghi sacri della Mecca), prevista per il 6 novembre.